Osvaldo Cavandoli, sempre sorridente

Alcuni premi e riconoscimenti

Alcuni premi e riconoscimenti

Osvaldo Cavandoli (in piedi) in una foto d'epoca

Cava all'opera

La Linea e la politica italiana

La copertina del libro antologico Cavandolate

Un'illustrazione di La Linea

Una caffettiera con l'immagine dell'Omino Lagostina

Cava mentre ci omaggia di dedica

La dedica di Cava per SigleTV.net

IN COSTRUZIONE

Quando e dove è nato?
Eheh, sono tanti, eh... 1, 1, 20... Faccia lei i conti... sono 87, adesso. A Maderno sul Garda (oggi Toscolano-Maderno, NdR). Ma poi ho sempre vissuto a Milano.

La sua formazione professionale?
Mah, ero iscritto al ginnasio, ma non ero un granché, allora ho fatto una scuola di avviamento professionale. È lì che ho imparato a maneggiare un po' quello che mi serviva e a prendere la mano nei disegni.
Poi a diciott'anni, mio padre, che aveva un cugino che era un direttore della Alfa Romeo, gli chiese di farmi entrare a lavorare lì come disegnatore tecnico. E così ho cominciato all'Alfa.

Di cosa si occupava esattamente?
Ero nell'ufficio attrezzistica. Il mio lavoro consisteva nel fare e disegnare le maschere per la stampa dei pezzi in serie.
Poi mi offrirono un lavoro alla Cemsa, perché un mio capo ufficio andò lì. All'inizio facevano i vagoni dei treni, ma poi... sa, la guerra... cominciarono a fare le armi e i proiettili. 

Come ha vissuto il periodo della guerra?
Me ne sono andato. Non mi avrebbero chiamato a fare il militare, perché avevo perso un occhio da bambino e non potevo andare a fare la guerra, ma coi tedeschi in giro ho preferito nascondermi per un po'. 
Allora mi sono messo a fare dei lavoretti per una cartoleria sotto la Galleria (Galleria Vittorio Emanuele II, proprio di fianco al Duomo di Milano, NdR), mi pare fosse Magli... e gli facevo anche dei disegni un po' così, sulla guerra.

Questa passione per il disegno non proprio tecnico come le venne?
Eh, ma facevo già le caricature quando ero all'Alfa: quando non c'erano i capi, facevo dei disegni e li facevo vedere ai colleghi. Poi, quando tornavano i capi... di nascosto sotto il cassetto! Facevo anche le caricature dei colleghi che me le chiedevano.

Come cominciò la sua professione di disegnatore?
Quando lavoravo in cartoleria lessi questo annuncio di Nino Pagot, sul corriere, che cercava disegnatori per finire un film a disegni animati. Mi sono presentato, ho fatto degli schizzi, gli sono piaciuti e così ho iniziato a lavorare allo Studio di Nino Pagot.
Abbiamo fatto I fratelli Dinamite e altre cose (tra cui Lalla, piccola Lalla...., NdR).

Lei che compito svolgeva presso lo Studio Pagot?
Ho iniziato come apprendista anche lì, mi ha insegnato tutto Nino Pagot e mi piaceva. Facevo lavori di intercalazione: quei disegni che si fanno per dare continuità di movimento tra due disegni, fatti dall'animatore, che rappresentano l'inizio e la fine del movimento.

E questa collaborazione come terminò?
Sa, c'era la crisi e Nino Pagot si è dovuto dare alla pubblicità e ha dovuto stringere un po' il personale... così...

Fu allora che si mise in proprio?
Mi sono messo in società con un mio amico, da bambini giocavamo sui marciapiedi, Ugo Moroni (A. Gelsi, nei crediti, NdR), che aveva la passione per la fotografia ed era un esperto. E abbiamo fatto Pupilandia. Facevamo le pubblicità coi pupazzi. I disegni li facevano in molti, ma coi pupazzi no: c'eravamo noi.
Facevamo tutto da soli: io facevo le scenografie, i personaggi... sa, facevo già anche i modellini degli aeroplani e quindi sapevo già come costruire le scene e via. E lui mi aiutava con le riprese. Ma era un ufficiale dell'aviazione, lo faceva solo per passione. Li animavamo a passo uno, cioè fotografavamo ogni posa per fare i fotogrammi, che poi davano tutto il movimento.

Dove venivano trasmesse queste pubblicità coi pupazzi?
Al cinema. Prima del film e alla fine. Oppure anche tra il primo e il secondo tempo. Non c'era la televisione come adesso e la pubblicità si faceva lì. Erano a colori.
Poi i tempi sono cambiati e hanno smesso di commissionare le pubblicità per il cinema.

L'avvento della televisione, forse?
Eh, sì...

E cosa fece?
Sono tornato ai disegni animati, con carta e matita. Ho cominciato a collaborare con altri colleghi disegnatori, che erano ben organizzati e avevano già un discreto giro commerciale. Facevamo le pubblicità del Carosello sulla RAI. Ho lavorato con Biassoni, Zanotti...
Poi, però, ho cercato di fare qualcosa di mio, ed è venuta fuori La Linea. Ai primi tempi che la trasmettevano, c'era gente che vedeva quella riga in mezzo allo schermo e pensava che era la televisione che non andava bene. 

Anche La Linea venne utilizzato per il Carosello... 
Sì, con Brunetto Del Vita (proprietario della ditta di produzione Frame, NdR) abbiamo proposto uno storyboard ad alcuni pubblicitari e ad altri clienti con l'intenzione di farne un carosello, ma all'inizio non piaceva a nessuno. Finché Emilio Lagostina, un ingegnere dell'omonima ditta di pentole, se ne interessò. Ed eccoci qua. Siamo andati avanti fino alla chiusura del Carosello. Abbiamo fatto anche degli episodi slegati dalla pubblicità, con le gag migliori, per venderli anche all'estero.
Fu un tedesco, Thomas Wagner di una casa di produzione tedesca (la Wagner-Hallig Film GmbH, NdR) a cui piaceva molto La Linea, a spingerci a realizzare degli episodi completamente nuovi che poi hanno avuto successo in molti paesi. Li trasmettevano integrali, non cambiavano nemmeno la musica. La Linea ha anche vinto dei premi internazionali...

A proposito di musica, come le capitò di collaborare con Franco Godi?
Non ricordo come accadde... Abitavamo abbastanza vicini e ci conoscevamo già. Franco Godi scriveva tutto l'accompagnamento musicale de La Linea. Anche quando il Carosello cessò si esistere.

Come ha fatto a concepire un personaggio simile, con questa linea continua che si anima e interagisce con lei?
Ma io non ho mai dato troppa importanza all'estetica, ero molto diretto, per me l'animazione doveva essere veloce e così ho fatto La Linea, che era l'essenza di quello che volevo: con una linea sola c'era già il personaggio. Il resto è venuto un po' da sé. Poi, quando facevo i disegni e gli schizzi, vedevo davanti a me la mia mano che si muoveva sul foglio e mi venne in mente Émile Cohl (nome d'arte di Émile Eugène Jean Louis Courtet, 1857–1938, disegnatore, animatore e regista francese che realizzò diverse centinaia di film d'animazione, tra cui "Fantasmagorie", nel 1908, considerato da molti il primo cartone animato della storia, NdR), che disegnava se stesso che faceva dei disegni che poi si animavano, e così ho pensato che la mia mano poteva in qualche modo entrare a far parte del disegno.

Ho visto che utilizza delle mascherine per disegnare la testa di Mr.Linea...
Sì, le ho fatte io, ma l'idea è stata di mia moglie. Per velocizzare il lavoro, senza perdere le proporzioni tra un disegno e l'altro, nelle animazioni. A seconda dell'espressione che serve, ne utilizzo una.

Come si svolgeva il lavoro per la produzione degli episodi?
Per molti anni ho realizzato tutto da solo: facevo le storie, i disegni, le animazioni e le riprese. Poi ho avuto un paio di collaboratori e abbiamo anche dovuto cominciare ad usare il computer e lo scanner.

E la voce di Mr.Linea?
All'inizio non doveva parlare, o magari con degli strumenti musicali, un sassofono, al posto della voce. Poi un mio amico mi disse che c'era questo ragazzino che faceva delle parlantine strane, Carletto Bonomi, allora siamo andati a sentirlo ed era perfetto, perché inventava delle parole e faceva dei versi che non si capivano molto, ma era molto espressivo. Sa, ogni tanto ci metteva dentro anche qualche parola... un po' colorita... 

Secondo lei, a cosa deve il successo questo anomalo personaggio?
Credo che la gente si identificasse un po' in lui perché era scalognato peggio di loro e si arrabbiava sempre, così pensavano di meno alle proprie sventure.

Ancora oggi, moltissima gente si ricorda dell'Omino Lagostina. Com'è possibile che La Linea sia invece sparita dalla TV italiana?
Proprio per quello: la gente lo associa sempre alla pubblicità e qualcuno in RAI ha pensato bene che un cartone animato come La Linea poteva essere considerato una pubblicità indiretta. Poi, però, non è successa la stessa cosa con altri cartoni animati del Carosello o delle altre pubblicità (basti pensare a Calimero, NdR). Negli altri paesi è andata diversamente: prima è arrivata la serie e dopo mi hanno commissionato le pubblicità.
In Italia si poteva vedere solo perché lo trasmettevano sulla TV Svizzera, sennò...

CONTINUA...

Questa intervista è stata realizzata nell'ottobre 2006, a Milano, presso lo Studiocine Cavandoli dove Cava lavorava, dopo esserci sentiti diverse volte telefonicamente. Da subito si era dimostrato una persona molto disponibile e allegra, capace di scherzare sui suoi prossimi 87 anni d'età, così come sulle mie origini così vicine alla sua Milano. Era felice di avere l'ennesima prova di avere ancora molti fan interessati ai suoi lavori e non solo al suo personaggio più famoso, così come aveva apprezzato con stupore il mio tentativo di ricostruire la sua carriera, quando gli mostrai un'anteprima di queste pagine. E ne fui molto orgoglioso. Lo incontrai ancora a dicembre, ma non ho mai avuto la possibilità di mostrargli il lavoro ultimato. E me ne rammarico.
Addio, Cava... Grazie per averci divertito per così tanti anni... (il Daniele, marzo 2007)


  La Linea e tutte le immagini di La Linea  © Osvaldo Cavandoli & Quipos s.r.l.